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XVII DOMENICA T.O. – Anno B
(2Re 4,42-44; Sal.144; Ef 4,1-6; Gv 6,1-15)

domenica 26 luglio 2009

“Era vicina la Pasqua, la festa dei giudei”
Giovanni, iniziando il suo lungo insegnamento su il “pane della vita”, sottolinea l’ambientazione nella Pasqua, come per indicare subito che quello che inizia a raccontare ha a che fare con la cena pasquale del “giovedì santo”; perciò descrive i gesti del Signore che moltiplica il pane con gli stessi verbi che appartengono alla trasformazione del pane nel senso direttamente eucaristico dell’ultima cena e pone l’accento, in modo tutto particolare, sul compiere personalmente la distribuzione, cosa che certamente non sarà stata possibile al momento del miracolo con una folla di migliaia di persone, ma è sempre vero quando viene tra i credenti nella celebrazione eucaristica. Gesù, sembra voler dire Giovanni, è dono di sé, è amore che si spende, anche fisicamente, e questo va sempre imparato da chi partecipa all’Eucarestia. Essa è il momento e il luogo in cui il Signore insegna, spinge ed aiuta a vivere il suo affetto e la sua premura e rassicura dicendo “non temere, io sono con te”, mentre ti scopri chiamato a vivere l‘amore che non si esaurisce, che ama sempre.
“Furono saziati”. Così si può capire più profondamente questa espressione, non certo in senso materiale, ma nel senso di quella pienezza di vita che permette di “dire Dio” ai fratelli.
La “sazietà” è la obbedienza al comando del Signore: ”raccogliete i pezzi avanzati perché nulla vada perduto”, che comporta la certezza senza incrinature sulla verità preziosa del dono del pane eucaristico.
Chi lo ha ricevuto in dono deve essere cosciente che esso deve rimanere a disposizione di tutti quelli che stanno venendo e che ancora non seguono, come è detto all’inizio con il gioco di immagini tra la folla che “segue” e quella che “sta venendo”.
Viene da pensare che questo gioco di immagini può non fermarsi al fatto oggettivo del momento raccontato a proposito del miracolo, ma indicare anche la condizione del credente che “segue”, ma è sempre nella necessità di “cercare ancora”: “che io cercando ti trovi, e trovatoti ti cerchi ancora”.
Gesù fa capire che l’incontro con Lui non può essere mai di natura individualistica. Quel pane è di tutto il popolo, perché è il “pane di Dio” che ha in cuore tutta l’umanità.
E a questa certezza vuole educare i credenti nella relazione personale in cui comunica personalmente se stesso.
Perciò i 12 canestri, simbolo delle 12 tribù. Ci viene detto che vi sono 12 apostoli, che dovranno andare a tutte le genti e raccogliere tutta l’umanità.
Il segno del ragazzo, con due diminutivi, un “ragazzinetto”! “Se non diventerete come bambini”: è l’abbandono fiducioso, come proprio dei bambini, a liberare la mente ed il cuore davanti al mistero.
Perciò dell’Eucarestia si impara più in ginocchio che sui libri.
Il segno del cibo abbondante: “il cibo è la nostra comunione naturale alla carne del mondo” dice ne “L’ortodossia” Sergei Bulgakov. La benedizione sul cibo, su tutto il lavoro che lo produce, implica il rifiuto del “saccheggio del pianeta”, il rispetto dei ritmi della vita; quella benedizione ci fa passare da un rapporto da vampiri con la natura – mangiare per essere mangiati – a un rapporto eucaristico che rende Dio presente nei cicli naturali e vitali del creato. Tutto passa da un corpo ad un altro per fare dell’universo un corpo solo e armonioso. Perciò il pane di Gesù non è pane di elemosina. Ma di condivisione. Conduce ad una cosmologia di comunione come aspetto essenziale di una sociologia di comunione.
Perciò il digiuno è importante. Ci fa uscire dal peccato della voracità egoistica, dall’arroganza dell’esigua minoranza che consuma senza misura il necessario della stragrande maggioranza per appartenere con gioia a coloro che lavorano senza interesse per una condivisione planetaria, non più pensata come elemosina. Così la terra si prepara a diventare gradualmente eucarestia. Allora mangiarla significa mangiare Dio per vivere, fino ad essere mangiati da Lui per morire nell’amore. (cfr. O. Clément “Il senso della terra”)

domenica 29 luglio 2012

In questa domenica e nelle quattro successive, la liturgia propone alla lettura e alla meditazione il capitolo 6 del quarto vangelo, di Giovanni.
Inizia con il racconto del prodigio operato da Gesù con la moltiplicazione del pane e prosegue con il grande insegnamento del pane che da vita.
Gli ebrei leggevano e perciò avevano presente il ricordo della fame nel deserto, la contestazione popolare, il dono della manna (Es.16), e il segno profetico operato da Eliseo per cento persone (prima lettura). Nel racconto di Giovanni il prodigio non è una risposta, ma un’iniziativa di Dio. Gesù provoca Filippo, uno dei Dodici, dicendo che la gente deve essere sfamata. Lo prova perché vuole condurlo ad una fede più forte. Filippo, infatti, da una risposta che si riferisce al solo pane materiale, sembra non avere assimilato l’insegnamento che Gesù già aveva dato, parlando di un altro pane che “voi non conoscete” (Gv.4,31), che è il suo cibo vero di ogni giorno. Anche Andrea rivela la sproporzione tra il pochissimo che si ha e la folla. È il segno che i primi chiamati vivere con Gesù non erano ancora riusciti a seguirlo nell’educazione a guardare oltre i propri limiti, in questo caso oltre la loro mancanza del danaro necessario. Occorrerà la spontaneità del ragazzo che dona quanto ha, per cominciare ad essere sicuri della esperienza concreta di un’altra dimensione, capace di intervenire e provvedere in modo abbondante, che supera il bisogno e si evidenzia nel pane avanzato. Dovranno raccoglierlo e conservarlo, per la memoria di fede e perché i poveri non finiranno, ma “li avrete sempre con voi” (Gv.12,8). Il dono di Dio Padre va custodito e condiviso, è “per tutti”.
C’è un’indicazione che da significato a tutto il racconto. Gesù è presentato come annunciatore di una Provvidenza che, se ci si affida al piano di Dio, vince l’impossibilità di dominare le situazioni. Il pane è importante, ma lo è di più Gesù che lo moltiplica in abbondanza. L’abbondanza, infatti, è uno dei segni messianici dell’essere di Dio. Gesù con il prodigio e con quello che il prodigio significa, sta attuando quanto era stato annunziato e promesso nell’Antico Testamento. Quella paternità che si è rivelata nella profezia e nell’esperienza, carica di tenerezza, che ricomincia sempre dopo ogni infedeltà, che conosce nomi e vicende dei suoi figli che porta scritti nel palmo della sua mano (Is.49,16), ora si concretizza nel pane moltiplicato con parole e gesti che rimandano chiaramente al pane dell’Eucarestia, ed attualizza il saluto del Risorto: “Io sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt.28,20).
È un invito forte a rinnovare la certezza di fede nella Provvidenza. Per un cristiano non è possibile guardare alle vicende personali e allo spazio ampio della storia fuori dalla certezza che Dio è Amore in quanto ci è accaduto e ci accade, il pane in cui ci ha amato e ci sta amando in questo momento. “Senza credere che l’Amore di Dio è onnipotente, come credere che il Padre abbia potuto crearci, il Figlio riscattarci, lo Spirito santificarci?” (ccc 278).
Solo in questa luce si può vivere il mistero dell’apparente impotenza di Dio, quando la fede è messa alla prova dall’oppressione del male e della sofferenza e Dio sembra lontano e indifferente. Tante domande affiorano dall’esistenza a causa dei drammi del male fisico e morale, delle calamità naturali e delle disgrazie, delle conseguenze del peccato, del mistero del dolore … La storia personale e collettiva è, e resta, un enigma, ha detto nel nostro tempo il Concilio Ecumenico Vaticano Secondo (GS.18)
Il cristiano, non diversamente dagli altri uomini, è incapace di discernere nei particolari le vie e i modi con cui la storia progredisce verso una meta di bene, il come e il quando tutto sarà compiuto dell’Amore e per l’Amore del Padre di Gesù nostro. Possiamo comprendere perché, assumendo ogni incapacità umana, abbia preferito e scelto il silenzio del deserto al chiasso dell’entusiasmo, il servizio dei poveri e il dono di se stesso ed ogni espressione della fame piuttosto che una regalità trionfalistica, come dirà con estrema chiarezza a Pilato durante il processo (Gv.18,35). Questo mistero profondo della storia, non sperimentabile sensibilmente, può essere illuminato e colorito di bellezza, solo dalla certezza della Provvidenza.
E questa premura materna e paterna del Dio che ama personalmente ogni singola persona, ha riempito pagine e pagine e permesso di testimoniare esperienze di ogni tipo affidandole alla memoria cristiana e alle coscienze che si interrogano. Di essa ha detto Edith Stein, alla vigilia del martirio, nel 1942,: “Quando penso al meraviglioso mosaico degli interventi di Dio nelle nostre vite, mi si riempie il cuore di una nuova riconoscenza”.
Nuova riconoscenza per Dio che ci tiene per la mano e parla al cuore nella fatica del vivere il “Padre nostro sa di che cosa avete bisogno” (Lc.12,30).

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