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XI DOMENICA T.O. – Anno B
(Ez 17,22-24; Sal.91; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34)

domenica 17 giugno 2012

Il brano di Ezechiele introduce bene il testo di Marco con le due parabolette sul seme che cresce da solo e del granello di senape che diventa albero, capace di ospitare i nidi degli uccelli.

Ezechiele, profeta che svolge il suo ministero durante l’esilio babilonese, si rivolge a gente stanca e depressa, spiritualmente demotivata e delusa di Dio, che sembra disinteressato e lontano, non capace di porre termine alla lunghezza della deportazione. Il profeta utilizza l’immagine del ramoscello preso dalla cima di un vecchio cedro per trapiantarlo sul monte alto, e assicura che questo avviene già al presente e occorre esserne certi per poter testimoniare ai popoli che Dio interviene nella vita di chi si apre a Lui. Così Ezechiele alimenta la fiducia del popolo nella presenza premurosa di Dio, rafforza la preghiera che si fida, e si affida, come suggeriva il Salmo antico, monologo interiore e professione di fede: “Ecco, non s’addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele. Jahvé è il tuo custode, Jahvè è la tua ombra, ed è alla tua mano destra” (Sal.121, 4-5). Il Dio che si rivela nella storia è un Dio che guarda, coglie, trapianta, prende l’iniziativa, conduce a sempre nuove fecondità e grandezze La prova sofferta nella schiavitù di Egitto e quella attuale della deportazione babilonese si rivelano come altrettante prove dell’amore di Dio per il suo popolo, più forti di quanto non farebbero pensare le situazioni negative vissute e da vivere ancora. Perciò il popolo intero e nessuno di quanti sono suoi membri dovrà mai sentirsi solo e fallito, perché Dio stesso veglia, in una vicinanza che opera per il bene di tutti e di ciascuno.

Si può comprendere perché Marco ponga in luce il contrasto fra il tempo dell’uomo e il tempo di Dio. Il primo appare divorato dalla preoccupazione di produrre e accumulare il più brevemente possibile, perciò è insidiato dal dubbio, dall’incertezza del successo, si innervosisce per la lentezza delle stagioni, letta non come una continuità armoniosa che accompagna dal germogliare alla maturazione, ma come assenza di armonia e di pace. Marco pone l‘accento sul seme e sembra ironizzare sul tempo agitato dell’uomo: “Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa”. Il frutto non dipende dalla preoccupazione, ma dal fidarsi dell’energia che è stata donata al piccolo seme e lo rende grande.

Fuori dai colori delle parabole, Marco dice che il Regno di Dio è come il gesto del contadino saggio che non è presentato come un fannullone, ma come uno che sapientemente accoglie e rispetta il ritmo di ogni cosa. Analogamente è per i discepoli del Vangelo, anche quando la libertà dell’uomo sembra opporsi alla proposta di Dio e ritardarne l’attuazione. Marco dice che, dove la Parola è accolta e si fa pensiero, e il pensiero si incarna per amore del mondo, quel piccolo seme diventa energia e vita, al punto di poter accogliere il fratello in sé, perché chi dona il “sapere la Parola”, donando si rende “vuoto” dove l’altro può entrare, come un nido, e portare la Parola che ha in se stesso, perché ogni essere umano è una Parola di Dio.

Siamo chiamati a credere nella forza che pervade la Parola di Dio, nella sua capacità di crescere e farsi strada nell’interno delle persone e trasformarle nella verità. Siamo chiamati a credere nella gradualità dell’azione della Parola di Dio. La testimonianza della verità del Vangelo non è mai frettolosa, intransigente verso chi appare lento ai nostri occhi. La trasformazione della vita è graduale, non avviene tutta di un colpo. Richiede da chi la propone umiltà, riflessione, pazienza, preghiera. E richiede in chi vuole esserne testimone la gioiosa valorizzazione dei piccoli segni, dei germogli da portare sulla mensa della fraternità, negli spazi immensi del dialogo, che possono essere colti in chi comincia a vivere il dono di sé fino a farsi nido, casa per gli uomini.

Allora il nostro piccolo e breve tempo diventa grazia per riconoscere, nello stupore, il prodigio del piccolo seme che diventa opera grande che segna la storia e infonde speranza. È quello che ci comunica Maria quando canta: “ha guardato l’umiltà della sua serva, ha fatto in me grandi cose”.

Comprendiamo che Marco ci dona una provocazione dicendo che la Parola in cui crediamo attende e domanda di essere fatta vita.

Ha scritto uno studioso di Marco:
“L’incomprensibilità, l’imprevedibilità, l’irrealizzabilità del compimento del Regno di Dio non sono motivo di preoccupazione.
Il corso della signoria divina, fino al suo compimento, viene garantito da Dio stesso.
La similitudine invita a credergli, cioè ad avere fiducia in Lui”
(R.Pesch).

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