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Parrocchia S.Maria di Piedigrotta – Napoli

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SANTISSIMA TRINITA’ – Anno C
(Pr. 8,22-31; Sal. 8; Rm. 5,1-5; Gv. 16,12-15)

domenica 30 maggio 2010

Oggi la liturgia propone al cammino di fede l’accoglienza rinnovata del mistero della Trinità, che i credenti professano fin da bambini nel segno semplice della croce con le parole che indicano la vita di Dio. Nel suo nome la fede invita a vivere. In questo segno non c’è solo la verità irraggiungibile del mistero, c’è anche la presenza nella storia di Dio Padre, che nel dono del Figlio e dello Spirito si è comunicato come Dio non solitario, ma vivo eternamente come relazione d’amore e proteso nella creazione a proporre agli uomini la sua stessa vita.

Comunione come vita pienamente detta.

La pagina del libro dei Proverbi annuncia quello che Gesù dirà di se stesso, consapevole della propria identità: Figlio eterno, realizzatore della creazione, amante della convivenza umana, divorato dallo zelo di annunciare Dio come Padre, da prima ancora che dalla sua parola creatrice nascessero le cose: Padre per la generazione eterna del Verbo, che da Lui riceve la vita non per creazione, ma per un rapporto di amore che ha l’eternità stessa di Dio.

Il vangelo annuncia chiaramente quello che l’Antico Testamento aveva non chiaramente intuito: Gesù è il Figlio non per adozione, ma per natura. Perciò è la “vita”. Questa caratteristica non diminuisce la grandezza del Creatore, ma la riempie di qualcosa che raggiunge l’uomo con più grande calore, perché va oltre la percezione dell’onnipotenza e svela l’amore immenso che lo anima. In Gesù Dio si volge all’uomo, fa propria l’esistenza umana e la porta in sé. Nel rapporto tra il Padre e il Figlio, Dio si da a conoscere come ”famiglia”, da sempre, in questo rapporto eterno. La contemplazione profonda dei cristiani, la riflessione sostenuta dall’esperienza, dona risposta alla domanda su quale sia il legame di questo rapporto eterno. Lo Spirito è il vincolo ininterrotto che lega nella reciprocità senza limiti e senza tempo e fiorisce nella pienezza dell’unità dell’unico Dio.

È lo Spirito che dona all’umanità la possibilità di entrare in quel rapporto, perché rende conformi a Cristo che guida all’approdo del Padre.

Questa rivelazione dell’intima realtà di Dio resta oscura per la mente dell’uomo, anche se illuminata e capace di raggiungere la certezza dell’esistenza del Dio unico. La mente si arresta dinanzi al mistero delle tre Persone, e tuttavia è invitata ad immergersi nella preghiera di adorazione e di lode, come ci ha fatto pregare l’antifona di ingresso:

“Sia benedetto Dio Padre e l’unigenito Figlio di Dio e lo Spirito Santo,
perché grande è il suo amore per noi”

Questa verità, quando è espressa nel linguaggio della teologia, appare arida e lontana. Ma nella contemplazione, vissuta singolarmente e insieme ai fratelli nel cammino della comunità di fede, emergono conseguenze importanti per la vita umana, nelle sue relazioni e nella sua organizzazione sociale. Conseguenze che siamo chiamati a scoprire, È perciò importante la parola di Gesù “Al momento non siete capaci”: è il momento della fede segnata dalla fragilità, momento che spinge a domandare lo Spirito per essere condotti a “tutta la verità”. Non si può dare certezza di fede senza la mediazione dello Spirito.

Contempliamo perciò la vita eterna di Dio come vita di amore nella reciprocità, nello scambio, nel dare-ricevere senza interruzione. Come Gesù dice: “Il Padre mio agisce sempre” e “anche io agisco” (Gv. 5,17). Così sarà anche per l’uomo a cui la vita è data “a nostra immagine e somiglianza”. L’uomo sarà invitato ad entrare in una comunione dinamica, in cui il già donato non riempie mai la misura. Per questo la vita di fede che si esprime nell’amore è chiamata dalla verità di Dio Trinità a sottomettersi, quasi in una scelta di passività, a colui o a coloro con cui si è in relazione, una passività che, paradossalmente, è il massimo dell’attività e del vivere stesso.

È il compito dello Spirito che fa dell’uomo non un esecutore di ordini, ma membro libero di un popolo, una gente in cammino verso una verità sempre più grande di quanto non dicano le formule classiche del pensiero.

La “verità tutta” è, in fin dei conti, la chiamata dell’uomo alla comunione senza la quale la vita non è intera, non pienamente vissuta. L’uomo o è relazione oppure non è, come insegna l’esperienza frequente e amara della solitudine.

Che il Dio della comunione ci aiuti a percorrere questa strada.

domenica 26 maggio 2013

Con la liturgia di questa domenica la Chiesa invita alla contemplazione del mistero di Dio Trinità, con la grazia della Parola che lo annuncia e che ogni giorno professiamo nel segno–sintesi della fede, quel segno della croce con cui domandiamo di vivere “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e ci impegniamo a farlo nella memoria della croce.
Il mistero della Trinità non è una verità astratta, che sfugge alla possibilità di comprensione, ma è il dono che Dio ci fa nella grazia della fede, la rivelazione della sua verità più intima, perché possiamo essere aiutati a scoprire la verità della nostra vita. “La rivelazione ci è stata data non per soddisfare la nostra curiosità, ma per farci migliori” (T H Newman). Il mistero è la “verità tutta intera” a cui il dono della fede conduce, con la guida dello Spirito Santo.

“Siano uno come noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv.17.21). Così ha pregato Gesù prima della passione.

Perché questa preghiera si avveri, occorre non lasciarsi turbare dall’esterno, da tutto quello che sembra contraddire la sua realizzazione per le tante convulsioni del mondo. Bisogna entrarvi dentro, farla propria dall’interno, concretamente, facendo della propria esistenza donata a Cristo nel servizio dei fratelli, il luogo in cui possa prendere forma visibile che dica l’unità delle tre Persone divine, come scandiva con forza Agostino: “Vedi la Trinità se vedi la carità” (De Trinitate, VIII, 8,12)

La persona umana è se stessa quando vive il dono di sé, quando è partecipe e segno della vita trinitaria, e lo fa cercando di testimoniare il modo e lo stile di Gesù in croce: “Chi perde la sua vita, la troverà” (Gv.2,25). Non solo come singolo, ma nelle relazioni reciproche.

Ha insegnato il Concilio:

“Il Signore Gesù, quando prega il Padre: “Perché tutti siano uno come Io e Te siamo uno”, additandoci orizzonti impervi alla ragione umana, ci ha insegnato una certa similitudine tra l’unità delle Persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nella carità; tale similitudine ci insegna che l’uomo non può ritrovarsi se non attraverso un sincero dono di sé”(GS.24).

Là dove si stabilisce un rapporto di apertura reciproca e di reciproca stima e collaborazione, anche con i fedeli di altre religioni e con chi è sinceramente aperto alla verità, si può aprire uno spazio di svelamento e di comprensione del mistero di Dio, frutto dell’esperienza di fraternità.

Così si esprimeva Giovanni Paolo II davanti ad esponenti di religioni non cristiane, a Madras, in India, il 5 febbraio 1986: “Il frutto del dialogo è l’unione tra gli uomini e l’unione degli uomini con Dio”.

Il mistero della vita trinitaria di Dio resta ed è inesauribile, ma quella nebbia fitta, che l’autore cristiano, un monaco anonimo inglese del XIV secolo, definiva “La nube della non conoscenza”, si squarcia come il velo del tempio al momento della morte di Gesù in croce, che fu il segno della fine del nascondimento di Dio e la rivelazione massima non del Dio in collera e bisognoso di castigo vendicatore, ma della infinita misericordia del suo cuore. Lì, nel velo del tempio squarciato, nella nube oscura dissolta, l’infinita potenza dell’amore estesa con le braccia della croce per quanto è estesa la creazione, ci raggiunge tutti, facendosi uno con tutti e con ciascuno, per aprirci, in sé, gli uni verso gli altri.

La fede nella Trinità non diventa realtà vissuta storicamente, se non diventa convinzione intima, pensiero, coraggio nel rischio del dialogo, nell’ascolto e nella parola, nella reciprocità della stima e nell’apprendimento della verità dell’altro, che è luogo dell’Altro che è Dio stesso. Occorre farsi accompagnare dalla presenza luminosa e gioiosa come un gioco, della Sapienza, di cui la prima lettura ci ha riportato l’immagine. La Sapienza si è fatta carne crocifissa in Gesù, di cui Chiara Lubich ha scritto: “È la pupilla dell’occhio di Dio sul mondo, un vuoto infinito attraverso di cui Dio guarda noi; è la finestra di Dio spalancata e la finestra dell’umanità attraverso la quale si vede Dio”. Così, attraverso di Lui, dice san Paolo, avviene la “ricapitolazione” di ogni realtà nel disegno dell’unità (Ef.1,10): ogni attesa, ogni desiderio, ogni gemito, ogni fallimento, ogni peccato, ogni morte, ogni negatività è ricondotta all’unità con Dio e con i fratelli nella patria dell’eternità.

Questa ricapitolazione è affidata ai discepoli di Gesù perché si dilati lo spazio del respiro trinitario e le relazioni reciproche siano sempre più vere, durature, sempre nuove per l’amore che le abita.

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