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Lettera pastorale: Visitare i carcerati

Il nostro Cardinale ci invita, anche quest’anno, ad impegnarci nel progetto della costruzione del Regno di Dio. Vogliamo essere una comunità che annuncia, celebra e testimonia IL VANGELO DELLA CARITÀ: esso ci ricorda che gli ultimi sono la “vera carne di Cristo” e in loro concretamente Lo incontriamo. Gli ultimi sono per noi il criterio per riconoscere l’autenticità del nostro impegno di cristiani.
“CHIESA IN USCITA” significa uscire per incontrare la gente, per contagiare tutti di speranza evangelica, per chinarsi su ogni fratello piagato (affamato, ignudo, assetato, straniero, sofferente, prigioniero).
“Ci soffermeremo, -ci ricorda il nostro Arcivescovo-, sull’opera di carità “VISITARE I CARCERATI”: fragilità etica che accomuna l’intera umanità; la chiesa esperta in umanità è capace di raccogliere nel suo stesso grembo i delinquenti e le loro vittime e sa farsi prossima a tutti per cambiare i cuori con il Vangelo della misericordia.” (pag.6)
Tutti noi abbiamo delle catene che ci tengono imprigionati: tante schiavitù che limitano la nostra autonomia e avviliscono la stessa dignità umana. Sono le molteplici dipendenze: dai dispositivi elettronici alle droghe, dal sesso alla maldicenza e alla violenza. Ognuno di noi è un groviglio di nobili aspirazioni e di meschinità.
“I detenuti sono uomini e donne che hanno commesso diversi errori, a volte gravi; uomini e donne a cui è stato sottratto il bene più prezioso, la libertà, fisica o morale e psichica e talvolta anche la dignità.” (pag.7)
“La sesta opera di misericordia corporale, VISITARE I CARCERATI, è di certo la più disattesa tra tutte le altre. Facciamo già fatica a convincerci che Gesù possa riconoscersi negli affamati, negli assetati, negli infermi. Ma che si sia potuto identificare anche con i detenuti, con avanzi di galera, ci sembra troppo!.” (pag.9)
Molti di questi, prima di essere delinquenti, sono gli sconfitti dalla vita, e con rancore guardano a questa società, diventando a loro volta vittime della “legge del carcere”, con un abbrutimento permanente.
“Siamo tutti convinti, -ci ricorda ancora il nostro Cardinale-, che ad ogni crimine debba corrispondere un’adeguata, severa punizione. Punire non è l’unica funzione della giustizia. Recuperare delle vite spezzate, rimettere in piedi chi è caduto rappresenta un compito di gran lunga più importante. A tale scopo è indispensabile indurre nel detenuto delle motivazioni che lo spingono a maturare il senso di responsabilità e la conseguenza delle proprie azioni. E ciò sarà possibile solo se egli non si riterrà un reietto, uno scarto su cui nessuno più è disposto a scommettere” (pag.14)
Ma sapientemente provocatorio risulta il suggerimento di Gesù: “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra” (Giovanni 8,7).” (pag.10) Con queste parole Gesù disarma le mani e le menti di uomini che lo accusano di una eccessiva indulgenza.
Gesù poi si china e scrive per terra: chiede a tutti di tacere e chinarsi di fronte al mistero di una persona umana. Solo chi è senza peccato può farsi esecutore del giudizio e quello di Dio è solo Misericordia, offerta di perdono.
Gesù poi si alza in piedi come davanti a una persona attesa e ragguardevole: quest’ultima riscopre la dignità della sua esistenza, l’unicità del suo essere. “Nessuno ti ha condannata? neanch’io ti condanno”, sono le parole capaci di cambiare una vita.
Il perdono è un atto rigenerativo; non è un colpo di spugna per gli errori precedenti; è un colpo d’ala verso un’esistenza nuova.
Il Vangelo chiede una convinta conversione dai comportamenti ingiusti e non autorizza nessuno a sottrarsi alle proprie responsabilità. “Se la giustizia è un’alta istanza di civiltà, il perdono ha qualcosa di divino. Per questo è capace di rigenerare vita e di rifondare i rapporti umani. Perdonare è un verbo che solo Dio sa e può coniugare; e anche noi, se sostenuti dalla sua Grazia.” (pag.12)
“Non è pensabile reinserire nel tessuto sociale un ex detenuto senza preparare la comunità ad accoglierlo. Spesso egli ritorna in un ambiente dove prevalgono relazioni umane complesse, condizioni sociali anche degradate, che scoraggiano ogni proposito di un vero cambiamento. Bisogna per questo adottare una prospettiva di lungo respiro per superare le cause strutturali della povertà e delle disuguaglianze sociali. In alternativa, i nostri progetti assistenziali potranno dare solo risposte provvisorie e parziali”. (pag. 21-22)
“La comunità cristiana può garantire una costante e proficua connessione con il mondo della detenzione per sostenere chi ha commesso delle colpe e contribuire con l’affiancamento personale al suo reinserimento nella società, soprattutto mediante la SINERGIA tra pastorale per i detenuti e quella del lavoro, della cultura, della scuola, coinvolgendo i vari soggetti sociali, le associazioni interessate, gli esperti in campo psicologico e pedagogico.” (pag. 23)
L’invito, allora, è quello di formare il popolo di Dio, ossia la nostra comunità parrocchiale al perdono e alla riconciliazione; istruire, inoltre, eventuali operatori mediante percorsi di sensibilizzazione e di adeguata attenzione a un orizzonte umano poco conosciuto e quasi sempre trascurato come quello dei carcerati.
Infine, è necessario accompagnare e visitare sia le famiglie, che i detenuti. La visita non risolve certo tutti i problemi, ma può alleggerire il peso dell’isolamento e consentire di riprendere fiato. “La comunità cristiana non sarebbe tale se non si prendesse cura dei detenuti. Questi rischiano di restare invisibili più di quanti dormono per le strade, marginalizzati molto più dei poveri che bussano alle nostre porte, oscurati dal silenzio dell’indifferenza. (pag.25)
Come comunità ci aspetta, allora, anche quest’anno un bell’impegno da vivere e realizzare insieme.
‘A Maronna c’accumpagna! Ne siamo certi!

Don Piero Milani
parroco

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01/11/2019

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